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Corte d'Appello di Bologna > Lavoro giornalistico
Data: 18/09/2001
Giudice: Veggetti
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 12/01
Parti: Natalia M. / BIBOP-CARIRE SpA
LAVORO GIORNALISTICO SUBORDINATO - SUSSISTENZA - LICENZIAMENTO ORALE - CONSEGUENZE SANZIONATORIE IN IMPRESA DI MODESTE DIMENSIONI - NULLITA' DI DIRITTO COMUNE - DIRITTO ALLE RETRIBUZIONI DAL LICENZIAMENTO AL RIPRISTINO DEL RAPPORTO.


Un giovane giornalista, all'esito di un corso sostitutivo del praticantato e di un ciclo di stage aveva continuato, per circa tre mesi, a svolgere la sua attività lavorativa presso lo stesso settimanale (il cui editore aveva, pacificamente, meno di sedici dipendenti), percependo un compenso fissato forfetariamente, con permanenza quotidiana in redazione, redigendo e firmando articoli per gli specifici settori assegnatigli, incaricando altri collaboratori di effettuare servizi giornalistici e fotografici, compilando il menabò delle pagine con i servizi di sua competenza, titolando e correggendo articoli. Al terzo mese l'editore comunicava verbalmente alle persone presenti in redazione la sospensione delle pubblicazioni del periodico, e conseguentemente l'interruzione delle collaborazioni in atto. Il giornalista rivendicava allora l'inquadramento come dipendente, (principalmente per poter usufruire del trattamento di disoccupazione) e a fronte del rifiuto aziendale chiedeva in giudizio l'accertamento della subordinazione e dell'illegittimità del licenziamento orale. Dopo lunga istruttoria l'allora pretore il Parma accoglieva entrambe le domande, condannando la società al pagamento delle differenze retributive con relativi contributi, ma facendo conseguire dall'accertata nullità del recesso verbale la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato solo sino alla data in cui il lavoratore aveva avanzato la prima rivendicazione tramite lettera del suo legale (circa un mese dopo il recesso). La società proponeva appello per la parte della sentenza relativa all'accertamento del lavoro subordinato, che continuava a contestare sia in assoluto sia, subordinatamente, per il criterio di calcolo del conteggio (in quanto al sig. Nico era stata riconosciuta dal giudice la qualifica di praticante con più di dodici mesi di servizio); dal suo canto il lavoratore proponeva appello incidentale per la parte della sentenza che aveva sanzionato in modo così singolare la nullità del licenziamento. La Corte d'Appello di Bologna con la sentenza in commento ha respinto l'appello principale confermando la natura subordinata del rapporto (accogliendolo solo i rilievi sui criteri di calcolo delle differenze arretrate) ed accolto l'appello incidentale, modificando la sanzione applicata al licenziamento orale. Rispetto al lavoro giornalistico la Corte richiama la «costante giurisprudenza», e afferma che «il vincolo di subordinazione e lo stabile inserimento nell'organizzazione aziendale assumono una particolare configurazione per la natura squisitamente intellettuale della relativa attività, per il carattere collettivo dell'opera redazionale, per la peculiarità dell'orario di lavoro, per i vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie, di talché va ravvisata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato allorché la prestazione lavorativa sia organicamente e stabilmente inserita nell'impresa giornalistica, finalizzata alla produzione del giornale (v. Cass. sez. lav. 14.4.2000, n- 4533; 12.8.1997, n. 7494)». Ma più che per l'accertamento della natura subordinata del rapporto, ove la pronuncia è sempre condizionata dal caso concreto, riteniamo la sentenza della Corte ancor più interessante laddove ha esaminato una fattispecie astratta tipica - qual è il licenziamento orale nelle piccole imprese - pervenendo a conclusioni di evidente portata generale. Nelle aziende con più di 15 dipendenti la sanzione per il licenziamento orale è identica a quella per violazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970 (vizio di forma nella procedura del licenziamento disciplinare) e a quella per mancanza di giusta causa o giustificato motivo: si applica, sempre, la reintegrazione nel posto di lavoro (con possibilità di optare per l'indennità sostitutiva, pari a 15 mensilità), stante la forza espansiva dell'art. 18 della legge n. 300/1970 che si estende a tutte le ipotesi di illegittimità del recesso del datore di lavoro. Così non è per le imprese minori: in caso di ingiustificatezza del licenziamento si applica l'art. 8 della legge n. 604/1966 (nel testo modificato dalla legge n. 108/1990), vale a dire, come regola, riassunzione o indennità che va da 2.5 a 6 mensilità; analogamente avviene in caso di violazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970, a seguito delle decisioni della Corte di Cassazione S.U., 18 maggio 1994, nn. 4844, 4845 e 4846 e della Corte Costituzionale 23 novembre 1994, n. 398 che hanno stabilito una piena equiparazione tra le sanzioni contro i recessi nulli per violazione delle garanzie procedimentali per i licenziamenti disciplinari e quelle contro i vizi di sostanza (ciò in base alla considerazione, ispirata più a equità sostanziale che a stretta logica giuridica, per cui «sarebbe illogico ricollegare all'inosservanza delle garanzie procedimentali conseguenze diverse e più gravi di quelle derivanti dall'accertata insussistenza dell'illecito disciplinare»). Logica ( o illogica) vorrebbe che per la violazione dell'art. 2 (vizio di forma per assoluta mancanza di forma scritta) fosse fatto un analogo ragionamento, che è invece limitato ad una giurisprudenza minoritaria. La giurisprudenza prevalente, che la Corte d'Appello di Bologna richiama nel censurare sul punto il primo giudice, «ha ripetutamente affermato che nei rapporti sottratti al regime di tutela reale il licenziamento affetto da uno dei vizi formali di cui all'art. 2 L. n. 108/1990 non produce effetti sulla continuità del rapporto di lavoro (V. Cass. S.U. 27.7.1999, n. 508; da ult. Cass. Sez. lav. 21.3.2000, n. 3345)». Conseguentemente i giudici bolognesi hanno dichiarato il diritto dell'appellato a percepire «la retribuzione e gli accessori (…) fino a quando non sopravvenga una valida ed efficace causa di cessazione del rapporto di lavoro», e la società, la quale aveva intransigentemente resistito alle inizialmente modeste rivendicazioni di un giornalista occupato comunque per non più di tre mesi, si è vista condannare al pagamento di una cinquantina di mensilità di retribuzioni (tra il licenziamento orale e la sentenza di secondo grado erano infatti nel frattempo passati più di quattro anni…). Invero la Corte d'Appello di Bologna con la decisione in commento, si è collocata senz'altro nel filone della giurisprudenza maggioritaria (Cass., S. U. 21 febbraio 1984, n. 1236, in MGL, 1984, 338; Cass., 28 ottobre 1989, n. 4542, in DPL, 1990, 524; Cass. 1 marzo 1996, n.1596; Cass., 24 giugno 1997, n. 561, in NGL, 1997, 527; Cass. 10 novembre 1997, n. 11094, in RFI, 1997, (voce Lavoro - rapporto), n. 1485; Cass. 20 febbraio 1999, n. 1444, in MGL, 1999, 417) ma si è, forse inconsapevolmente, differenziata dalla sentenza delle S.U. - pur citata - laddove ha dichiarato il diritto del lavoratore licenziato «a percepire la retribuzione». Le Sezioni Unite della Cassazione, infatti, pur avendo, conformemente all'indirizzo maggioritario, affermato che «il recesso non produce effetti sulla continuità giuridica del rapporto», hanno però precisato che al lavoratore sarebbe «dovuta non già la retribuzione, ma il risarcimento del danno, eventualmente commisurato alle mancate retribuzioni». Una simile precisazione non è priva di effetti pratici, elencati dalla stessa sentenza delle S.U. laddove precisa che, nella determinazione del danno, «soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che, se il datore offre la prova che l'inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (come, ad esempio, nel caso di rifiuto del lavoratore di riprendere il lavoro) non è tenuto il risarcimento (art. 1218 c.c.); che deve essere detratto dall'ammontare del danno l'aliunde perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa; che, trattandosi di inefficacia e non dovendo il licenziamento essere impugnato entro il termine di cui all'art. 6 legge n. 604, bensì entro i normali ter




Corte d'Appello di Bologna > Lavoro giornalistico
Data: 23/12/2005
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 616/05
Parti: SLC-CGIL + Lodari ed altri / Poste italiane SpA
ACCERTAMENTO DI LAVORO SUBORDINATO DI TIPO GIORNALISTICO – REDATTORE ORDINARIO E COLLABORATORE FISSO – ORDINARI CRITERI DI ACCERTAMENTO EX ART. 2094 C.C. – INSUSSISTENZA DELL’INSERIMENTO NELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE E DELL’ASSOGGETTAMENTO AI POTERI DIRET


Una giornalista ha rivendicato l’accertamento di rapporto di lavoro subordinato ex art. 1 o, in subordine, ex art. 2 CNLG, fondando essenzialmente le sue pretese sull’estensione temporale della prestazione resa e sulla sua continuità. La Corte d’Appello di Bologna, confermando la decisione del giudice di primo grado, dopo aver richiamato l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “i caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato sono costituiti dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro (con conseguente limitazione di autonomia) e tali caratteri sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, pur potendo essi assumere aspetti e intensità diversi in relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni esercitate o al contenuto (più o meno intellettuale /o creativo) della prestazione pattuita” (Cass. 29.11.2002 n. 16997; Cass. 9.6.1998 n. 5693, Cass 12.8.1997 n. 7494; Cass. 28.7.1995 n. 8260), ha ribadito che nel lavoro giornalistico non sussiste un concetto di subordinazione quantitativamente affievolito rispetto a quello sancito dall’art. 2094 c.c., ma occorre solo tener presente che le modalità di attuazione del rapporto restano influenzate dalla creatività della prestazione resa dal giornalista e da alcune peculiarità che ne connotano le modalità esecutive in relazione all’oggetto della stessa. Pertanto il giornalista subordinato deve essere “tenuto stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo fra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia” (Cass. 12.5.2004 n. 9053, Cass. 18.8.2003 n. 12079, Cass. 26.3.2002 n. 4338), intendendosi per stabilità dell’inserimento non la semplice continuità “ma il risultato di un patto, in forza del quale il datore di lavoro possa fare affidamento sulla permanenza della disponibilità senza essere esposto al rischio di doverla contrattare volta per volta” (Cass. 20.8.2003 n. 12252). Continua la Corte d’Appello osservando che una distinzione quantitativa – sotto il profilo della durata e dell’entità dell’impegno richiesto al lavoratore – può essere individuata solo tra la figura del redattore e quella del collaboratore fisso, considerando che essa va operata “con riferimento non tanto alla responsabilità del servizio (astrattamente possibile anche per un redattore), quanto alle caratteristiche dell’impegno temporale richiesto che per il redattore comporta l’osservanza di un orario di lavoro e comunque la quotidianità della prestazione, mentre per il collaboratore la semplice continuità della prestazione stessa” (Cass. 28.7.1995 n. 8260; Cass. 20.1.2001 n. 833).




Corte d'Appello di Bologna > Lavoro giornalistico
Data: 19/01/2006
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 617/05
Parti: Giovanna M. / Eg Technology s.r.l.
CONTRATTO A TERMINE DI GIORNALISTA PROFESSIONISTA – INFONDATEZZA DELLA CAUSALE INDICATA – SUSSISTENZA DI RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO


Il Tribunale di Bologna ha dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 14.12.2000 di un giornalista che aveva prestato la sua attività con quattro contratti a termine stipulati nell’arco di un anno con la Poligrafici Editoriale, ordinando alla società di rassegnare il lavoratore nel proprio posto presso la redazione maceratese de Il Resto del Carlino con le mansioni precedentemente svolte, condannandola a pagargli le retribuzioni dovute per la qualifica di redattore ordinario dal 14.12.2000, detratte le somme già corrisposte. La società ha proposto appello eccependo, da un lato, l’inammissibilità della domanda per aver nel frattempo ottenuto il riconoscimento di altro rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con altra testata giornalistica dal 5.10.1998, e dall’altro negando la finalità elusiva della legge n. 230/1962 in quanto ogni contratto sarebbe stato stipulato con una diversa motivazione: non poteva quindi, per questo, ravvisarsi la volontà di una surrettizia integrazione dell’organico della redazione di Macerata, non desumibile neppure dalla stipulazione di un altro contratto di collaborazione autonoma per meno di due mesi. Esaminando i singoli contratti, il Tribunale aveva ritenuto legittimo il primo, stipulato per sostituire un giornalista ammalato, mentre aveva ravvisato l’illegittimità del secondo, per violazione dell’art. 23 legge 56/1987 e dell’art. 3 del CCNLG, che consente l’apposizione del termine “nella fase di avviamento di nuove iniziative editoriali” in relazione alle “nuove iniziative editoriali connesse alla fase di avviamento del tabloid”, evidenziando che per le Marche la fase connessa all’avviamento del tabloid era iniziata nel febbraio 2000, mentre tale contratto era del 14.12.2000. Il Tribunale aveva infine ravvisato l’illegittimità del terzo contratto (in quanto proroga del primo e fondato sugli stessi motivi) e del quarto, stipulato per sostituire lavoratori in ferie perché, contrariamente a quanto previsto dall’art. 23 cit., il CCNL non aveva previsto la percentuale dei lavoratori da poter assumere a tempo determinato rispetto al numero di quelli a tempo indeterminato. La Corte, rispetto all’accertamento di altro rapporto giornalistico, ha innanzi tutto evidenziato non sussistere la prova che sia divenuta definitiva la sentenza con cui è stato accertato un rapporto con altra testata sin da prima dell’instaurazione di quello oggetto di causa. “A questo si aggiunga – precisa la Corte – che la sussistenza dei due rapporti non è motivo di illiceità di alcuno degli stessi, potendo solo eventualmente venire in rilievo per le future determinazioni delle parti in ordine alla relativa prosecuzione”. Quindi non vi sarebbe violazione dell’art. 8 del CNLG – il cui primo comma pone il divieto di contrarre più di un rapporto a tempo pieno disciplinato dall’art. 1 dello stesso CCNL – in quanto tale divieto viene in rilievo “nei rapporti tra le parti e segnatamente in ordine alle determinazioni che le stesse – come già evidenziato – vorranno eventualmente assumere per la prosecuzione dei rapporti in questione”. Per quanto concerne la riconducibilità dell’adozione del formato tabloid tra le nuove iniziative editoriali cui fa riferimento l’art. 3 del CCNLG, la Corte ha ritenuto infondato il motivo d’appello – confermando quindi la sentenza di primo grado – dal momento che il riferimento alla fase di avviamento di nuove iniziative editoriali “porta a ritenere che la stessa non possa estendersi sino al dicembre successivo, soprattutto ove si consideri che normalmente ogni fase di avviamento presuppone anche un’estensione temporale precedente il lancio dell’iniziativa: in altri termini, se l’adozione del formato tabloid presso la redazione di Macerata è intervenuta nel febbraio 2000, il relativo avviamento non può che essere iniziato prima.” Pur ritenendo assorbiti gli ulteriori motivi di appello sollevati in ordine alla legittimità degli altri contratti a termine, la Corte osserva anche che “pure la proroga del contratto a termine con originaria scadenza al 31.3.2001 è da ritenersi comunque illegittima, perché intervenuta per le stesse esigenze – l’avviamento di una nuova iniziativa editoriale – già sussistenti al momento della stipulazione del contratto prorogato, contrariamente a quanto prevedeva la legislazione dell’epoca (cfr. Cass. 12.7.2002, n. 10189; cfr. pure Cass. 15.5.2001, n. 6689). Conclusivamente la Corte ha confermato parzialmente la sentenza del Tribunale dichiarando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 14.12.2000, condannando la società al “risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni che, quale redattore ordinario, avrebbe maturato se avesse potuto rendere dette prestazioni”

solo, però, a partire dal 13.11.2001, data di notifica di un ricorso ai sensi dell’art. 700 cpc con il quale il lavoratore ha offerto le proprie prestazioni lavorative. La sentenza, pur riguardando la legislazione precedente quella attuale (D.Lgs. n. 368/2001) assume importanza alla luce della recente giurisprudenza della Suprema Corte, ed in particolare della sentenza Cass. 21 maggio 2002 n. 7868 che – in conformità con quanto previsto dalla direttiva CE 99/70 – ha ribadito il principio per cui il contratto di lavoro per sua natura non è a termine, ma a tempo indeterminato, ed anche di Cass. S.U. n. 4588 del 2 marzo 2006, secondo cui “il richiedere la forma scritta delle ragioni giustificatrici del contratto a termine (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo)…” ha il “chiaro fine di agevolare il controllo giudiziario (chiamato a sostituire quello sindacale che si concretizzava nella tipicizzazione delle diverse forme di assunzione al lavoro) sull’operato del datore di lavoro (cfr. al riguardo: art. 1 comma 2, d. lgs. N. 368 del 2001)”

In sostanza resta - ancora oggi - attribuito al Giudice il potere di sindacare la legittimità e rispondenza al vero della causale indicata nel contratto a termine.




Corte d'Appello di Bologna > Lavoro giornalistico
Data: 28/08/2007
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 281/07
Parti: Carlo G. / Foxair S.p.A.
RICONOSCIMENTO RAPPORTO DI LAVORO GIURNALISTICO – QUALIFICA DI GIORNALISTA COLLABORATORE FISSO – INOTTEMPERANZA ALL’ORDINE DI REINTEGRA – DIRITTO A RISARCIMENTO IN VIA EQUITATIVA – TRATTAMENTO DEL COLLABORATORE FISSO: DETERMINAZIONE IN VIA EQUITATIVA IN R


Art. 2 del CNLG

Art. 36 Cost.

Art. 432 cod. proc. civ.

La Corte d’Appello di Bologna è chiamata a pronunciarsi a seguito di un lungo e complesso procedimento in materia di lavoro giornalistico che ha visto pronunciarsi il Pretore di Reggio Emilia con ordinanza resa ex art. 700 c.p.c. e successivamente il Tribunale della stessa città con ordinanza collegiale all’esito del reclamo, con sentenza parziale ed infine con sentenza definitiva, previa riunione dei procedimenti in appello promossi contro le due citate sentenze da entrambe le parti. Il lavoratore - dopo aver ottenuto in via cautelare un ordine di reintegrazione (non eseguito) presso la redazione di un quotidiano di proprietà della società ed il pagamento di una retribuzione mensile non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo del settore per la qualifica di giornalista collaboratore fisso - con il ricorso di merito aveva richiesto l’accertamento della subordinazione e conseguentemente dell’invalidità, illiceità e simulazione dei contratti di lavoro autonomo conclusi tra le parti e, da una certa data, l’accertamento di aver svolto attività giornalistica quale collaboratore fisso (art. 2 CNLG) prestando la propria opere con orario di lavoro comunque superiore alle 36 ore settimanali.

Il Tribunale con la sentenza parziale aveva accolto la domanda (che nel ricorso d’urgenza era stata formulata in via subordinata, essendo stato richiesto in via principale l’inquadramento come redattore ordinario ex art. 1 CNLG) sulla base delle sommarie informazioni raccolte in sede cautelare, dalle quali era emerso che: il lavoratore aveva redatto un rilevante numero di articoli; aveva partecipato alle riunioni di redazione del pomeriggio e della sera e, a volte, a quelle del mattino, ristrette al direttore e ai capo servizi; era stato destinatario di direttive e suggerimenti in ordine alle modalità di redazione degli articoli; era stato a lui affidato l’incarico – con una certa frequenza – di esaminare i comunicati stampa pervenuti al giornale; aveva partecipato ai turni di guardia, serali e festivi, e sostituito redattori in ferie o assenti per altre ragioni; da una certa data aveva seguito in via esclusiva la cronaca giudiziaria. Conseguentemente aveva qualificato il provvedimento espulsivo come licenziamento inefficace, perché privo di forma scritta, ed illegittimo perché privo di giusta causa.

Con la sentenza definitiva il Tribunale, dopo aver condannato la società al ristoro del danno derivante dal non aver ottemperato all’ordine di reintegra (come danno alla professionalità per non aver potuto proseguire e perfezionarsi nell’attività giornalistica) quantificandolo, in via equitativa, il euro 36.000 ha stabilito il diritto a percepire il trattamento retributivo massimo per il collaboratore fisso, consistente in un quid minus rispetto al trattamento del redattore di prima nomina, da identificarsi, in via equitativa, nell’importo della retribuzione base, della contingenza riconosciuta al livello immediatamente superiore e nel diritto alla tredicesima mensilità e all’accantonamento del TFR, con esclusione delle indennità previste per i redattori dalla contrattazione collettiva.

La Corte d’Appello di Bologna, dopo aver respinto le molteplici domande ed eccezioni proposte da ambo le parti, conferma sostanzialmente la sentenza del primo giudice.

In primo luogo considera infondata la censura, proposta dalla società, relativa alla decisione di non rinnovare l’istruttoria già svolta nella fase cautelare, ritenendo che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essa sottesi dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. da ultimo Cass. n. 9368/06).

Nel merito del problema i giudici bolognesi dichiarano di condividere l’insegnamento del supremo Collegio (v. in particolare Cass. n. 16038/04) secondo cui in materia di lavoro giornalistico deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto e alle specifiche modalità di svolgimento della prestazione avendo riguardo, in particolare, al vincolo di assoggettamento del giornalista all’altrui potere direttivo e disciplinare (Cass. n. 7931/00): pertanto – a meno che non debba essere esclusa, in base ad elementi di prova certi, l’esistenza di tale vincolo - l’elemento della subordinazione non può disconoscersi per il solo fatto che il giornalista goda di una certa liberà di movimento e non sia obbligato a rispettare un orario predeterminato o la continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo nemmeno incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni (Cass. n. 1024/96).

Dopo aver ribadito, come precisato da Cass. n. 4338/02 (ma, v. anche Cass. n. 16997/02; n. 12079/03; n. 9053/04; n. 12095/04; n. 14427/04) che elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato – e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo – è la subordinazione ed il carattere meramente sussidiario degli altri elementi (Cass. n. 379/99 delle Sezioni Unite e n. 6727, 5989, 3887, 2970, 1666, 224/2001; n. 11192, 15001, 6570/2000 della Sezione Lavoro) quali ad esempio collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e coordinamento con l’attività imprenditoriale, ha però evidenziato che detti elementi possono tuttavia essere valutati globalmente come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni che incidano sull’atteggiarsi del rapporto.

Con riferimento specifico al lavoro giornalistico il ricorso agli elementi indiziari prospettati risulta necessario tutte le volte che l’apprezzamento diretto della subordinazione non sia agevole a causa di specifiche peculiarità del lavoro giornalistico che incidono sull’atteggiarsi del rapporto in dipendenza, tra l’altro, della natura intellettuale delle mansioni, del carattere collettivo dell’opera redazionale, della peculiarità dell’orario di lavoro, dei vincoli imposti dalla legge per la pubblicazione del giornale. Coerentemente il rapporto di lavoro giornalistico può essere qualificato subordinato – pur non essendone agevole l’apprezzamento diretto della subordinazione – solo quando, dalla valutazione globale degli elementi indiziari prospettati, risulti che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed istruzioni, non già quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione d’incarichi, ed eseguite in autonomia.

Quanto, poi, alla figura del collaboratore fisso delineata dall’art. 2 del CNLG viene richiamato l’insegnamento di Cass. n. 16543/04 (v. anche Cass. n. 4797/04) che, nella sua motivazione, così si esprime: “.. il vincolo della subordinazione assume una particolare configurazione nelle imprese giornalistiche, per il carattere squisitamente intellettuale dell’opera redazionale, per la peculiarità dell’orario di lavoro e per i vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie. Pertanto, indipendentemente dalla durata complessiva del rapporto, elemento caratterizzante la subordinazione – che nella specie è stata esclusa dal Tribunale – è la permanente disponibilità del lavoratore ad eseguire le istruzioni del datore, nel senso della necessità




Corte d'Appello di Bologna > Lavoro giornalistico
Data: 28/08/2007
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 281/07
Parti: Valeria F. + 1 / Onlus Fondazione Braghini Rossetti
RICONOSCIMENTO RAPPORTO DI LAVORO GIURNALISTICO – QUALIFICA DI GIORNALISTA COLLABORATORE FISSO – INOTTEMPERANZA ALL’ORDINE DI REINTEGRA – DIRITTO A RISARCIMENTO IN VIA EQUITATIVA – TRATTAMENTO DEL COLLABORATORE FISSO: DETERMINAZIONE IN VIA EQUITATIVA IN R


Art. 2 del CNLG

Art. 36 Cost.

Art. 432 cod. proc. civ.

La Corte d’Appello di Bologna è chiamata a pronunciarsi a seguito di un lungo e complesso procedimento in materia di lavoro giornalistico che ha visto pronunciarsi il Pretore di Reggio Emilia con ordinanza resa ex art. 700 c.p.c. e successivamente il Tribunale della stessa città con ordinanza collegiale all’esito del reclamo, con sentenza parziale ed infine con sentenza definitiva, previa riunione dei procedimenti in appello promossi contro le due citate sentenze da entrambe le parti. Il lavoratore - dopo aver ottenuto in via cautelare un ordine di reintegrazione (non eseguito) presso la redazione di un quotidiano di proprietà della società ed il pagamento di una retribuzione mensile non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo del settore per la qualifica di giornalista collaboratore fisso - con il ricorso di merito aveva richiesto l’accertamento della subordinazione e conseguentemente dell’invalidità, illiceità e simulazione dei contratti di lavoro autonomo conclusi tra le parti e, da una certa data, l’accertamento di aver svolto attività giornalistica quale collaboratore fisso (art. 2 CNLG) prestando la propria opere con orario di lavoro comunque superiore alle 36 ore settimanali.

Il Tribunale con la sentenza parziale aveva accolto la domanda (che nel ricorso d’urgenza era stata formulata in via subordinata, essendo stato richiesto in via principale l’inquadramento come redattore ordinario ex art. 1 CNLG) sulla base delle sommarie informazioni raccolte in sede cautelare, dalle quali era emerso che: il lavoratore aveva redatto un rilevante numero di articoli; aveva partecipato alle riunioni di redazione del pomeriggio e della sera e, a volte, a quelle del mattino, ristrette al direttore e ai capo servizi; era stato destinatario di direttive e suggerimenti in ordine alle modalità di redazione degli articoli; era stato a lui affidato l’incarico – con una certa frequenza – di esaminare i comunicati stampa pervenuti al giornale; aveva partecipato ai turni di guardia, serali e festivi, e sostituito redattori in ferie o assenti per altre ragioni; da una certa data aveva seguito in via esclusiva la cronaca giudiziaria. Conseguentemente aveva qualificato il provvedimento espulsivo come licenziamento inefficace, perché privo di forma scritta, ed illegittimo perché privo di giusta causa.

Con la sentenza definitiva il Tribunale, dopo aver condannato la società al ristoro del danno derivante dal non aver ottemperato all’ordine di reintegra (come danno alla professionalità per non aver potuto proseguire e perfezionarsi nell’attività giornalistica) quantificandolo, in via equitativa, il euro 36.000 ha stabilito il diritto a percepire il trattamento retributivo massimo per il collaboratore fisso, consistente in un quid minus rispetto al trattamento del redattore di prima nomina, da identificarsi, in via equitativa, nell’importo della retribuzione base, della contingenza riconosciuta al livello immediatamente superiore e nel diritto alla tredicesima mensilità e all’accantonamento del TFR, con esclusione delle indennità previste per i redattori dalla contrattazione collettiva.

La Corte d’Appello di Bologna, dopo aver respinto le molteplici domande ed eccezioni proposte da ambo le parti, conferma sostanzialmente la sentenza del primo giudice.

In primo luogo considera infondata la censura, proposta dalla società, relativa alla decisione di non rinnovare l’istruttoria già svolta nella fase cautelare, ritenendo che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essa sottesi dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. da ultimo Cass. n. 9368/06).

Nel merito del problema i giudici bolognesi dichiarano di condividere l’insegnamento del supremo Collegio (v. in particolare Cass. n. 16038/04) secondo cui in materia di lavoro giornalistico deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto e alle specifiche modalità di svolgimento della prestazione avendo riguardo, in particolare, al vincolo di assoggettamento del giornalista all’altrui potere direttivo e disciplinare (Cass. n. 7931/00): pertanto – a meno che non debba essere esclusa, in base ad elementi di prova certi, l’esistenza di tale vincolo - l’elemento della subordinazione non può disconoscersi per il solo fatto che il giornalista goda di una certa liberà di movimento e non sia obbligato a rispettare un orario predeterminato o la continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo nemmeno incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni (Cass. n. 1024/96).

Dopo aver ribadito, come precisato da Cass. n. 4338/02 (ma, v. anche Cass. n. 16997/02; n. 12079/03; n. 9053/04; n. 12095/04; n. 14427/04) che elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato – e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo – è la subordinazione ed il carattere meramente sussidiario degli altri elementi (Cass. n. 379/99 delle Sezioni Unite e n. 6727, 5989, 3887, 2970, 1666, 224/2001; n. 11192, 15001, 6570/2000 della Sezione Lavoro) quali ad esempio collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e coordinamento con l’attività imprenditoriale, ha però evidenziato che detti elementi possono tuttavia essere valutati globalmente come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni che incidano sull’atteggiarsi del rapporto.

Con riferimento specifico al lavoro giornalistico il ricorso agli elementi indiziari prospettati risulta necessario tutte le volte che l’apprezzamento diretto della subordinazione non sia agevole a causa di specifiche peculiarità del lavoro giornalistico che incidono sull’atteggiarsi del rapporto in dipendenza, tra l’altro, della natura intellettuale delle mansioni, del carattere collettivo dell’opera redazionale, della peculiarità dell’orario di lavoro, dei vincoli imposti dalla legge per la pubblicazione del giornale. Coerentemente il rapporto di lavoro giornalistico può essere qualificato subordinato – pur non essendone agevole l’apprezzamento diretto della subordinazione – solo quando, dalla valutazione globale degli elementi indiziari prospettati, risulti che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed istruzioni, non già quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione d’incarichi, ed eseguite in autonomia.

Quanto, poi, alla figura del collaboratore fisso delineata dall’art. 2 del CNLG viene richiamato l’insegnamento di Cass. n. 16543/04 (v. anche Cass. n. 4797/04) che, nella sua motivazione, così si esprime: “.. il vincolo della subordinazione assume una particolare configurazione nelle imprese giornalistiche, per il carattere squisitamente intellettuale dell’opera redazionale, per la peculiarità dell’orario di lavoro e per i vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie. Pertanto, indipendentemente dalla durata complessiva del rapporto, elemento caratterizzante la subordinazione – che nella specie è stata esclusa dal Tribunale – è la permanente disponibilità del lavoratore ad eseguire le istruzioni del datore, nel senso della necessità